La storia del cappon magro, ricetta vanto della tradizione della cucina ligure che ha tante versioni quanti sono i cuochi che lo preparano, è un po’ la storia del povero che d’un tratto arricchisce e aggiunge pietanze raffinate a una mensa di solito assai frugale. La storia di Cenerentola che ha trovato il principe azzurro, se volete.

All’origine della ricetta del cappon magro, c’era la caponadda, un’insalata preparata in barca dai pescatori senza accendere fuochi, con galletta, pesce salato (tonno e/o acciughe, di solito) e, se c’era a bordo, origano e olio. Caponadda, da non confondere con la caponata siciliana che è cosa assai diversa, perché con autoironia affilata i pescatori definivano il pane secco “capón de galea”, cappone di barca: non proprio morbido come il cappone che finiva nelle mense dei patrizi ma, ammollato con l’acqua, soffice quanto bastava.
Oggi la caponadda, soprattutto a Camogli, è piatto estivo rinomato e nella frazione di San Rocco, a luglio, dà luogo a una sagra assai frequentata. Voi lo potete preparare – dosi per quattro persone – con quattro gallette da marinaio (fuori dalla Liguria sono quasi impossibili da trovare, le potete sostituire con fette di pane che biscotterete, oppure con freselle pugliesi o con qualunque cracker che sia in grado di reggere l’acqua senza impregnarsi troppo, il pane azzimo o i Wasa non sono il massimo ma all’occorrenza possono andare: la stessa avvertenza varrà più avanti anche per la ricetta del cappon magro).
La ricetta del cappon magro
Gli ingredienti della ricetta del cappon magro sono:
- 75 grammi di mosciame di tonno (tonno secco, anche questo arduo da trovare: potete sostituirlo con la bottarga),
- tre acciughe salate,
- 150 grammi di tonno al naturale (c’è chi usa quello sott’olio, ma l’olio delle conserve non è granché e rischia di coprire il pregiato olio evo che userete voi),
- trenta olive taggiasche (non date retta a quelli che dicono le spagnole o le Cerignola),
- tre uova sode tagliate a rondelle,
- una cipolla (di Tropea, suggerisco),
- quattro pomodori maturi,
- 150 grammi di fagiolini,
- un bicchiere di aceto bianco,
- un bicchiere di olio evo,
- acqua e sale
Naturalmente non c’è bisogno di dirvi di lessare i fagiolini e di togliergli i fili, di affettare la cipolla e il pomodoro, di ammollare il pane in acqua e aceto badando che non si impregni troppo e conservi un po’ di croccantezza, e infine di mescolare tutto e condire con l’olio, l’aceto che resta e il sale.

La storia della ricetta
Dalla caponadda al cappon magro il passo è breve ma non così scontato. Perché “cappon magro”, intanto? Perché si usava il pesce, in contrapposizione al cappone vero che era grasso, quando la religione cattolica prescriveva il mangiar di magro al venerdì e durante la quaresima. Il nostro era quindi piatto prepasquale (in Liguria è sempre stato anche piatto natalizio e di festa) e usava, è una delle etimologie possibili, come base il poco pregiato pesce cappone o rascassa, soprattutto nelle mense più povere (l’altra etimologia possibile fa derivare il nome dal francese “chapon”, la fetta di pane tostato strofinata con l’aglio).
Nelle mense povere – o tra la servitù che si spartiva i resti del banchetto dei maggiorenti – il cappon magro era un semplice miscuglio di pesce e verdure lesse condite con la salsa verde. Nelle mense patrizie e nobiliari era, ovviamente, un piatto più elaborato che, a partire dall’età barocca, quindi dal 1600 in avanti, divenne anche architettura gastronomica policroma, torre (di Babele?) di leccornie che consentiva di soddisfare la gola senza violare i precetti religiosi. Così, affinato fino alla formalizzazione nei ricettari dell’Ottocento – che prevedevano varianti più o meno ricche, a seconda deella prosperità del cuciniere – il cappon magro è arrivato fino a noi, rielaborato in mille modi. La ricetta classica possibile – ma, ripeto, le varianti sono tante – prevede questi ingredienti, per quattro persone.
Pesce: 500 grammi di pesce cappone (se non vi piace o non lo trovate, sostituitelo pure con branzino, orata o pesce affine), 12 gamberi, 12 ostriche (potete sostituirle con le cozze, ma non è la stessa cosa), sei acciughe diiscate e dissalate, un’aragosta, 60 grammi di mosciame di tonno.

Verdure: le cimette di mezzo cavolfiore, una testa di sedano (bianco è meglio) tagliata a pezzetti, 150 grammi di fagiolini, un mazzo di scorzonera, 100 grammi di patate a dadini, una barbabietola non troppo grossa a dadini, due carote a julienne, tre carciofi puliti, fatti a pezzi e messi in acqua e limone perché non anneriscano.

Salsa: olio evo, aceto, 2 spicchi d’aglio, 35 grammi di pinoli, 20 grammi di capperi, sei olive nere senza il nocciolo, la mollica di un panino bagnata nell’aceto e strizzata, due acciughe, due tuorli sodi, una manciata abbondante di prezzemolo, sale.

Guarnizione: 100 grammi di galletta o pane biscottato, una lattuga, una decina di funghetti sott’olio, due uova sode tagliate a spicchi, una manciata di capperi, un po’ cetriolini sott’aceto, uno spicchio d’aglio, olive verdi e nere q. b., un limone, olio evo, sale e pepe.

Spuntati gli ingredienti, procediamo. Il pesce va pulito e messo a bollire in acqua leggermente salata e aromatizzata con sedano, carota, cipolla, prezzemolo, un po’ di pepe e un po’ d’aceto e di vino bianco. Terminata la cottura, andranno eliminate testa, lische e pelle. Nella stessa acqua bollirà per venti minuti circa l’aragosta che al termine della cottura andrà sgusciata, conservando il guscio che si userà in seguito. Stesso procedimento per i gamberi, che come il resto del pesce e l’aragosta andrà condito con olio, limone, sale e pepe. Si conclude aprendo le ostriche.
Le verdure, invece, andranno bollite separatamente, facendo attenzione che restino sode e non troppo cotte: soltanto le patate, ovvio, dovranno essere ben cotte. Ma anche qui, attenti che non si sfaldino. Terminata la cottura, andranno tagliate a dadini o a julienne, vedi sopra, e condite con olio, aceto e sale.
È il momento di preparare la salsa, pestando nel mortaio o frullando tutti gli ingredienti, ad eccezione dell’olio e dell’aceto che andranno aggiunti alla fine, regolandosi in base alla consistenza che si intende dare alla salsa.
Si comincia adesso a “impiattare”, partendo dalle gallette o dal pane tostato, da sfregare con l’aglio, inumidire con acqua e aceto e disporre, assieme alle foglie di lattuga, sul fondo del piatto di portata. La base è pronta, si aggiungono fettine di mosciame e si copre, a strati e facendo attezione anche all’effetto cromatico che si vuole ottenere, con strati di pesce e di verdure. Tra uno strato e l’altro si versa qualche cucchiaiata di salsa, che andrà versata anche ai bordi della torre che intanto si va formando.
Versata la salsa, si decorano i bordi con le uova sode, i cetriolini, i capperi, i funghi, le olive e i filetti di acciuga. Si completa, in cima, con il guscio dell’aragosta circondato da pezzi di polpa del crostaceo e, alla base, con le ostriche. Ai lati della torre, infine, vanno i gamberi, infilati in spiedini di legno. Dopo tanta fatica, si può andare all’assalto del cappon magro. Non ne resterà neppure una cucchiaiata, c’è da giurarci.