Bruschette & Co.

Pane, olio e sale. Il piatto più semplice del mondo ma, quando l’olio e il pane sono buoni, hanno personalità e carattere, il più raffinato. Pensate a quella delizia che è il pane guttiau (pane “sgocciolato”) della Sardegna: si prende del pane carasau, ci si versa a filo dell’olio extravergine, si completa con sale e pepe e si inforna per qualche minuto. Oggi ci fanno anche delle bustine di chips che vendono al supermercato, ma non è la stessa cosa.
Pane e olio oggi significa soprattutto bruschetta. Un tempo in Toscana, dopo la vendemmia, significava fettunta: una fetta di pane casereccio abbrustolita, strofinata d’aglio e irrorata d’olio. Per palati decisi, ma che meraviglia.

Anche la bruschetta ha i suoi meriti, a patto di saperla fare e a patto di evitare quei paltoni tra l’insipido e l’indigesto che propongono molti bar nel rito dell’happy hour: pane qualsiasi avanzato dall’ora di pranzo e non nelle migliori condizioni di forma, olio anonimo, una mesta dadolata di pomodori figli di madre ignota che il frigorifero ha privato di profumo e sapore.
No, la bruschetta richiede buon pane abbrustolito o grigliato (nelle vinerie più intelligenti, anche solo per pane e olio, fanno gli abbinamenti: un pane sciapo con un olio deciso e, come direbbe Francesco Gabbani, viceversa), olio superlativo e pomodori freschi d’orto o quasi. Metteteli pure a dadolata o a spicchi se volete, ma se li strofinate sul pane l’effetto è migliore e i bambini gradiscono di più.
Si chiama pan amb tomàquet la ricetta catalana che chiede soltanto pan tostato, pomodori strofinati sul pane, olio e sale (a Maiorca la chiamano pan amb oli), nella versione classica ci si aggiungeva al massimo una sardina in salamoia, oggi anche affettati ma pare superfluo: la buona cucina è spesso più togliere che aggiungere.

Nei romanzi di Manuel Vazquez Montalban che hanno per protagonista l’investigatore gourmet Pepe Carvalho preparava il pan amb tomàquet, con un rituale quasi religioso, il suo assistente Biscuter. Non avete mai letto i gialli di Vazquez Montalban? Non sapete che cosa vi siete persi. Non avete mai assaggiato il pan amb tomàquet? Idem.
Sulla base della bruschetta si possono innestare le mille variazioni che trovate anche in Rete: con l’avocado oggi va di moda (il cosiddetto avocado toast), ma c’è chi la suggerisce anche con il salmone e l’aneto (che cosa non si fa per opporsi al burro, ma l’olio pare più opportuno con l’acciuga), con i fagioli e con i peperoni verdi fritti (i friarielli napoletani sono i più indicati), con il pecorino e volendo le fave fresche (ma olio e formaggio, a dirla tutta, non mi sembra il massimo: roba da americani, che fanno una bruschetta con aglio, pomodoro, parmigiano fuso, salsiccia ed erba cipollina: (esagerati), addirittura una versione dolce con olio, cioccolato fondente, un pizzico di sale e rosmarino che sarà il caso di provare.
Io la mia bruschetta preferita la preparo con quel che mi avanza della vignarola alla romana, uno stufato di verdure buono per festeggiare l’inizio della primavera con piselli freschi, carciofi, cipollotti, guanciale, pecorino e mentuccia. Base, il solito pane e olio, e sopra una cucchiaiata generosa di vignarola.

Panazanella

Con il pane – ammollato invece che abbrustolito – si fanno altre cose egregie. Per esempio la panzanella dell’Italia centrale. Pane raffermo fatto rinvenire nell’acqua, strizzato e sbriciolato, insaporito dal nostro adorato olio con l’aggiunta di aceto, sale, cipolla rossa e basilico. Le aggiunte sono quasi sempre vegetali ma anche tonno sott’olio e affini vanno bene. Nelle Marche il pane non viene sbriciolato ma soltanto ammollato e gli ingredienti vanno sopra, come nella bruschetta.

Frisella

Si ammollava invece nell’acqua di mare – ma oggi voi, per prudenza, è meglio se vi limitate a salare l’acqua – la frisella pugliese, un tarallo di grano duro cotto al forno, tagliato a metà e fatto biscottare nuovamente al forno. La ricetta originaria dei pescatori prevedeva frisella, olio e pomodoro spremuto assieme alla sua acqua di vegetazione, oppure la frisella usata come base – come avviene per la galletta ligure nel cappon magro – per zuppe di pesce o per zuppe di cozze. Oggi a Bari e dintorni – la ricetta si chiama cialdedd – la frisella viene ammollata con acqua, olio, sugo di pomodoro e un filo di vino, e condita con carciofini e lampascioni. L’ammollatura può essere invece con l’olio e l’acqua di vegetazione delle vongole, filtrata. Per aggiungerci sopra in questo caso le vongole fatte andare in padella con cipolla, aglio e prezzemolo. Mentre in Calabria – la fresina conzata – dopo avere reso più tenera la frisella con acqua e olio, ci si vanno a incorporare pomodori e alici, condendo il tutto con origano, pepe nero, aglio, basilico e peperoncino. Buon pane e olio.

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