Dice l’amico: «Ma dai, influenze arabe e saracene nella cucina ligure? Non ci credo, fosse la cucina siciliana capirei, ma che cosa c’entrano gli arabi con il nostro pesto?». C’entrano, c’entrano. Non con il pesto direttamente, ma con la pasta che condisce sì. La cucina, come molte altre cose del vivere civile, non si lascia ingabbiare dalle rivendicazioni nazionali o di campanile. È frutto di contaminazioni, scambi, traffici, aggiustamenti. Facile dirlo oggi che il concetto di cucina fusion, soprattutto nelle aree metropolitane, seduce fasce sempre più ampie di gastronomi e di semplici amanti del buon cibo.
Era così anche ieri, è stato più o meno così sempre. Un grande scrittore ligure trapiantato a Torino, Nico Orengo, nel suo “Il salto dell’acciuga”, collegava il “garum” degli antichi romani, quella salsa marroncina e probabilmente non troppo igienica fatta ai tempi degli imperatori e dei centurioni con gli avanzi fermentati del pesce, con la pasta d’acciughe, la colatura di alici e le semplici acciughe sotto sale senza le quali (e senza l’olio d’oliva, è ovvio) la bagna cauda non esisterebbe.
L’amico incalza: “Sì, ma gli arabi? Non divagare”. Dunque, gli arabi hanno regalato alla cucina italiana, che ne ha fatto tesoro e se li è giocati a modo suo, almeno questi ingredienti: la pasta, la pasta ripiena e la pasta fritta (i primi pastifici li impiantarono gli arabi a Palermo, dopo aver conquistato la Sicilia nell’827 d.C. e prima di arrendersi ai normanni nel 1091, poco dopo l’anno Mille), gli agrumi, la canna da zucchero (che si usava per addolcire il “shurbet”, il primo prototipo del sorbetto e l’antenato del nostro gelato), l’uso delle spezie e dell’alambicco, il gusto per l’agrodolce e il biancomangiare, un dolce di latte e mandorle macinate.
E secondo tutti gli storici della cucina ligure, che nella sua sublime semplicità di erbe e verdure raccoglie influenze arabe, siciliane, spagnole e catalane, gli arabi ci diedero i primi modelli di due paste assai amate nella regione, le trenette e i pansoti.
Importate ai tempi della repubblica marinara di Genova dai mercanti che avevano rapporti commerciali con la Sicilia (sapevate che Genova è stata una capitale italiana della pasta, tra il Medioevo e l’Età Moderna, ben prima di Napoli?), quelle che divennero le trenette erano all’origine le “itryah”, la prima pasta lunga di cui l’Italia abbia memoria. “Itryah” in arabo significava “massa filiforme e tondeggiante”: il prototipo che, diramandosi, diventerà “vermicello”, “spaghetto” e in Ligura “trenetta” (dal genovese “trena”, cordoncino, sempre lì siamo). Quanto ai pansoti, che si impongono tra la fine dell’Ottocento e la seconda metà del “secolo breve”, sono un’evoluzione delle paste ripiene del Medio Oriente, che a differenza dei nostri adorati ravoli panciuti ripieni di erbe (soprattutto la borragine) e conditi con la salsa di noci, erano fatti senza usare l’uovo nell’impasto e cotti al vapore. Giurano infine gli storici che siano di origine araba anche i “cuculli” o coccoli di patate del Ponente, e per parte nostra ascriveremmo all’influsso arabo, per quanti filtrato, anche lo stoccafisso in agrodolce e il latte dolce fritto. Dunque, ecco due ricette che vengono da lontano.
Trenette con il pesto alla genovese
Ricetta per 4 persone:
Mettete sul fuoco una pentola e, appena si alzerà il bollore, buttateci due patate di media grossezza a tocchi e 80 g di fagiolini puliti e privati dei fili. Quando le verdure saranno quasi pronte, aggiungete 320 g di trenette e, appena saranno al dente, scolate pasta e verdure e versatele in una zuppiera, tenendo da parte un po’ d’acqua di cottura con cui diluirete il pesto. Spolverate di pecorino, mescolate e servite. Come, non sapete come si fa il pesto? Vi diamo dosi abbondanti, ma quel che avanza lo potete tenere per qualche giorno, in un contenitore a chiusura ermerica. Dovete mettere in un mortaio (o in un frullatore, ma non è la stessa cosa) 36 foglie di basilico, un cucchiaio di pecorino sardo e uno di parmigiano, una manciata di pinoli, aglio e sale, e olio d’oliva extravergine quanto basta. Pestate finché non vi viene fuori una bella salsa liscia e verdissima. I genovesi usano il pecorino sardo, che può a volte conferire al pesto un piccantino che non a tutti piace. Chi gradisce un gusto più delicato più usare le formaggette liguri di pecora.
Cuculli
Ricetta per 4 persone:
Lessate 800 g di patate e mettetele nel mortaio, un po’ per volta. Aggiungete un pezzetto di burro, pestate fino a ottenere una sorta di pasta filante e versate di volta in volta il composto in una ciotola. Quando avrete finito con il mortaio, incorporate al composto un pizzico di maggiorana, sale, 20 g di pinoli pestati e due uova, soltanto i tuorli, versandone una alla volta e facendola incorporare prima di aggiungere la successiva. Sbattete poi gli albumi e teneteli da parte. Fate con il composto delle palline che passerete nell’albume e nel pane grattuggiato, per poi friggerle in olio bollente: i cuculli devono essere ben dorati e risultare gonfi e soffici. Eliminate l’eccesso d’olio stendendoli su una carta assorbente e serviteli ancora caldi. Come aperitivo, con un bel pigato, o per accompagnare delle costolettine d’agnello.