«Come si può governare un Paese che ha 246 varietà differenti di formaggio?» Se lo chiedeva il generale De Gaulle. Parlava della Francia ma noi, con un centinaio di dolci natalizi e un diluvio universale di menù delle feste, non siamo da meno.
C’è l’unità d’Italia a tavola, almeno a Natale? In tempi di sentimenti sovranisti, la domanda non è oziosa. Le tradizioni locali resistono e, anche in questo campo, l’Italia è un paese di campanili. Quasi impossibile invocare il pensiero unico di tortellino in brodo, tacchino e panettone. Ci sono anche gli agnolotti, gli anolini, i cappelletti, i ravioli. Al centro-nord, nel meridione è un trionfo di timballi e lasagne ricchissime.
Proviamo allora a suggerire qualche piatto locale di antica tradizione. Dove l’olio d’oliva abbia la sua parte.
Fra gli antipasti scegliamo, per il centro-nord, il patè di fegatini al marsala.
Per una terrina occorrono 300 g di fegatini di pollo, 80 g di pancetta affumicata, 120 g di burro, 3 scalogni, 4-5 foglie di salvia, 1 rametto di rosmarino, 1 cucchiaio di foglie di timo fresco, 100 ml di Marsala o vinsanto, 4 cucchiai di panna fresca, 1 cucchiaino di aceto di mele, olio evo, sale e pepe.
Si comincia facendo soffriggere nell’olio gli scalogni tritati. Subito dopo si aggiunge la pancetta a dadini e la si fa rosolare, si uniscono le erbe e i fegatini a pezzetti, cuocendo a fuoco vivace per cinque minuti. Ancora qualche minuto di cottura dopo avere spruzzato il tutto con il Marsala e avere salato e pepato. A questo punto si eliminano salvia e rosmarino e si lascia intiepidire.
Si mette nel mixer il composto, incorporando il burro, la panna e, da ultimo, l’aceto. Basta, il patè è pronto. Si può stemperare con un po’ di panna se risulta troppo denso, si può aggiustare di sale e pepe e infine, dopo avere riposato in frigorifero per qualche ora, sarà pronto.
Per il centro-sud, propongo invece la pizza alla scarola campana.
Per l’impasto occorrono 300 g di farina di semola rimacinata, 200 g di farina 0, 260 g di acqua tiepida, 6 g di lievito di birra, 1 cucchiaino di zucchero, ½ cucchiaino di sale e un cucchiaio di olio evo. Per la farcitura servono invece 4 cespi di scarola, 150 g di olive nere, 5 acciughe sott’olio, 1 cucchiaio di capperi, 1 cucchiaio di uva sultanina, 1 cucchiaio di pinoli, 1 spicchio d’aglio e olio evo.
Create sul tavolo la fontana mescolando le due farine. Aggiungete al centro il lievito di birra con lo zucchero, che avrete fatto sciogliere nell’acqua tiepida, e l’olio. Mescolate e lavorate l’impasto per un quarto d’ora, aggiungendo acqua tiepida se serve: deve risultarne una palla liscia e omogenea. Che va messa in un recipiente leggermente unto d’olio e lasciata riposare, coperta da un canovaccio umido, per quattro o cinque ore.
A questo punto, metà abbondante dell’impasto andrà stesa in una teglia tonda unta d’olio. Stendete anche l’altra metà e fatela lievitare ancora per un’ora, e intanto preparate la farcitura.
Sciacquate l’uvetta e fatela ammollare nell’acqua tiepida. Pulite la scarola, eliminate le parti più dure, lavatela e asciugatela. Sciacquate i capperi sotto sale e asciugateli. Versate l’olio in una padella, fate soffriggere l’aglio e aggiungete capperi, olive e acciughe. Quando le acciughe si sarano disfatte unite la scarola. La farcitura, ben mescolata, deve restare sul fuoco per una decina di miniuti.
Intanto accendete il forno portandolo a 220°. Spenellate d’olio la pasta della pizza nella teglia tonda, distribuiteci sopra la farcitura, aggiungete l’uva sultanina e i pinoli e completate il tutto con un giro d’olio. Coprite con l’altra pasta, sigillate i bordi e fate cuocere per 15 minuti, poi abbassate il forno a 200° e completate la cottura. Non vi resta che togliere dal forno e servire.
Per gli antipasti ci siamo, tanto più che provvederete voi ad aggiungere quel che più vi piace: i salumi con la giardiniera, il salmone, quant’altro.
E per i primi, come la mettiamo? Abbiamo detto agnolotti ma qui non diamo ricette: ciascuno di voi ha la sua pasta ripena d’elezione e, se non la fa in casa, ha anche il pastaio di fiducia dal quale acquistarla. Va ovviamente cotta nel brodo, meglio se di cappone. Un’alternativa insolita, tipica della tradizione molisana, sono i crioli con le noci.
I crioli assomigliano ai maccheroni con la chitarra, ma qualsiasi spaghettone grosso (o, se amate la pasta corta, le trofie) va bene. La pasta va ovviamente cotta nell’acqua salata e condita con il baccalà lessato (100 g a testa) e un po’ della sua acqua di cottura, e con una salsina che otterrete facendo soffriggere nell’olio 50 g di noci tritate e tre spicchi d’aglio. Volendo si può mantecare con formaggio grattugiato, parmigiano o pecorino.
Superata la boa del primo, siamo arrivati al secondo. Anche qui, l’unità d’Italia a tavola è impresa ardua. Ci sarebbero il tacchino, l’oca, la faraona e il cappone ripieno (anche lesso e accompagnato dalla mostarda di frutta). E poi il “gallinaccio brodettato”, in Umbria la porchetta, in Sardegna il porcetto o l’agnello. E, per chi privilegia la cena di magro della vigilia, anguilla, capitone e baccalà. Insomma, anche per il secondo fate voi. Io vi suggerisco un piatto della vigilia, il cavolfiore affogato alla catanese che si prepara nella zona dell’Etna. Va bene come contorno ma anche per condire la pasta.
Servono un grosso cavolfiore, 6-7 cipolline, 400 g di salsiccia (ma se preferite potete usare le acciughe sotto sale), 200 g di caciocavallo o di pecorino, 1 bicchiere di vino (l’Etna rosso è perfetto), qualche cucchiaio di filetti di pomodoro, una manciata di olive nere prive del nocciolo e il nostro adorato olio evo.
Si mette in una casseruola, dopo averne irrorato il fondo con l’olio, il cavolfiore a cimette. Strato a strato, si aggiungono le cipolline affettate, le olive, il caciocavallo a dadini, la salsiccia spezzettata (e senza pelle). Si aggiusta di sale e pepe, si aggiunge il pomodoro, si rifinisce il tutto con l’olio e il vino rosso, si incoperchia e si cuoce per 40 minuti a fuoco lento, avendo avuto l’accortezza di aggiungere, qualche minuto dopo l’inizio della cottura, mezzo bicchiere d’acqua.
E va bene, anche il secondo è sistemato. A questo punto sento una vocina che dice: ma almeno il dolce lo salviamo? L’egemonia del panettone milanese, magari in ticket con il pandoro veronese, non è in discussione, vero? Sarà. Ma come la mettiamo con le decine di “pani dolci” della penisola?
Con la bisciola e la gubana, il nadalin e lo zelten, il pandolce e il pan speziale, il parrozzo e il buccellato? Come la mettiamo con il panforte, gli struffoli e le pignolate, i ricciarelli e i susamielli, i roccocò e i mostaccioli? O sono specialità che troviamo soltanto nei libri di cucina, tradizioni che la modernità comincia a disertare? Anche qui, fate come credete, tanto il panettone non mancherà. Io suggerisco, tra i dolci nei quali l’olio d’oliva è indispensabile, le cartellate pugliesi: nastri di pasta prima fritti, poi innaffiati di vincotto o di miele.
Si procede così: si impasta 1 kg di farina con 100 g di zucchero, 100 g di olio evo e 1 bicchiere di vino bianco (dolce pugliese vorrebbe vino pugliese, ma vedete voi). Si taglia la pasta, dopo averla fatta riposare per mezz’ora, in strisce rettangolari non troppo sottili che si piegano e avvolgono a spirale, unendo infine i bordi per formare una rosetta. Le rosette andranno fritte da entrambe i lati, sgocciolate sulla carta assorbente e poi immerse nel miele (o nel vincotto d’uva o di fichi) tiepido. Sgocciolate ancora e lasciate raffeddare, andranno cosparse di zucchero a velo e servite.
Insomma, tradizionale o regionale, il pranzo di Natale è un tour de force. Io un’altra vecchia tradizione la recupererei: la meravigliosa insalata di rinforzo napoletana che dovrebbe durare fino all’Epifania, come l’ultimo dpcm del governo. Cavolfiori, peperoni, olive, cetriolini, capperi, acciughe, olio aceto e sale. Via via che mangi, aggiungi gli ingredienti che hai consumato, e magari agiungi qualche avanzo che non stoni.
Buon Natale e buone feste.