A volte mi chiedono cosa sia e in cosa consista la degustazione di un olio ricavato dalle olive. Anzi, in realtà me lo chiedono così tante volte che mi vien voglia qui di scriverne, in modo che mi si possa chiedere altro e non ripetermi. Io comunque rispondo sempre gentilmente, come fosse ogni volta la prima volta ad aver ricevuto una simile richiesta. Non perdo la pazienza e nemmeno mi annoio. È una questione di carattere. Così, senza alcuna esitazione né fastidio, rispondo che la degustazione è un passaggio fondamentale, dal quale non si può più prescindere.
È sempre stata importante, per la verità, al fine di valutare la qualità degli oli da olive. La valutazione sensoriale degli oli nella fase di acquisto è imprescindibile. Un tempo i mediatori, coloro che si interponevano tra chi produceva e chi acquistava l’olio prodotto da confezionare e vendere in bottiglia, erano grandi esperti. Certo, un tempo era diverso, perché intervenivano in maniera molto elementare, sfregando le mani e annusando l’olio, così da saggiarne la qualità al primo impatto: l’assenza di note olfattive sgradevoli. Un tempo utilizzavano anche un semplice cucchiaio da cucina, lo immergevano nel contenitore in cui era conservato l’olio e lo avvicinavano dapprima al naso, per poi introdurlo in bocca, in modo da saggiarne anche la bontà al palato, la pulizia soprattutto, perché un olio buono lascia sempre la bocca pulita, mai con una sensazione di untuosità e di impastamento della bocca. Erano modalità semplicistiche, allora, tra fine Ottocento e inizi del Novecento, ma in ogni caso erano operazioni efficaci, utili, fondamentali.
Poi arrivò in Liguria l’ONAOO, la prima scuola di assaggio al mondo, fondata nel 1983. A Imperia, per l’esattezza. In seguito, dopo tante sollecitazioni in tal senso, l’assaggio si cercò di codificarlo. Ecco allora un gruppo di ricercatori, una squadra di esperti guidata dallo spagnolo Rafael Gutierrez e dall’italiano Mario Solinas. Il loro approccio, segnatamente scientifico, segnò un passaggio epocale. Procedettero attraverso la codificazione di uno specifico linguaggio universale, con un lessico appropriato che non inducesse a equivoci e fraintendimenti. Soprattutto si preoccuparono di elaborare un metodo di analisi sensoriale univoco, valido per tutti, universalmente accolto e adottato in tutto il mondo proprio perché a volerlo fu il Consiglio oleicolo internazionale, la massima autorità in materia. La stessa Unione europea, successivamente, ne fece un Regolamento, l’ormai celeberrimo Reg. CE 2568/91, con l’altrettanto fondamentale “allegato XII”, dove si potevano leggere i capisaldi dell’analisi sensoriale degli oli vergini ed extra vergini di oliva. Era, ed è tuttora, tutto lì il sapere di quella che chiamiamo degustazione, ovvero assaggio degli oli da olive. Con il tempo ci sono state integrazioni e miglioramenti al metodo, ma sostanzialmente il Reg. CE 2568/91è stato per tutti un punto fermo nel mondo degli oli da olive. Ha segnato un’epoca. L’analisi sensoriale degli oli era tuttavia qualcosa di già affrontato, perfino agli inizi del Novecento, ma anche già prima, nel secolo precedente. Tale sensibilità e attenzione nacque nel momento in cui l’olio veniva confezionato in piccoli contenitori, lattine in banda stagnata o damigiane o bottiglie in vetro, per essere rivenduto. L’assaggio, oltre alle analisi chimico-fisiche, era importantissimo, perché, essendo un prodotto costituzionalmente fragile, come tutti i grassi soggetti a ossidazioni, si doveva appurare la loro bontà e la stabilità stessa dei parametri qualitativi.
Il rischio, diversamente, era il venir meno delle caratteristiche compositive degli stessi oli. La qualità sensoriale di un olio ricavato dalle olive era un tema centrale per chi commercializzava una materia prima tanto buona quanto complessa e intrinsecamente fragile. Nel 1901 fu pubblicato un libro dal titolo Oleificio moderno, il cui autore, il professor Eustachio Mingioli, già affrontava con grande lucidità e competenza il tema dell’analisi sensoriale. Il bicchiere dell’assaggio come oggi noi lo conosciamo, quello ufficialmente riconosciuto dal Consiglio oleicolo internazionale è frutto di uno studio accurato, dovuto ai già citati Gutierrez e Solinas, ma, come era prevedibile, già lo stesso Mingioli, nel suo libro, andava oltre lo stropicciamento dell’olio fra le palme delle mani, come era d’uso tra i professionisti dell’epoca, e infatti introdusse anche lui il bicchiere, proprio al fino di cogliere, come lui stesso scrisse, gli “odori a distanza”. Ecco, con questa mia nota, credo di aver fatto percepire come sia indispensabile avere un approccio diretto con l’olio. Anche il consumatore, pur non essendo un assaggiatore professionista. Dovrebbe prendere confidenza con l’olio. Degustare significa conoscere.
Conoscere significa utilizzare al meglio una materia prima così preziosa, così buona, così sapida, così profumata, così salubre. L’assaggio ci fa scoprire la qualità, prima di tutto, facendone così scoprire, volta per volta, le varie sfaccettature. Facendo così comprendere che l’olio extra vergine di oliva è una materia prima complessa e che accanto a una qualità oggettiva, documentata attraverso analisi chimico fisiche e valutazioni sensoriali, vi è anche una qualità che si coniuga con il gusto personale. È un percorso difficile, forse, ma nemmeno tanto difficile, perché si tratta solo di prendere confidenza con l’olio. Quando si comprende la qualità, allora tutto sarà diverso. Tuttora la scelta di acquisto avviene in funzione del prezzo, non delle peculiarità dell’olio. Una simile lacuna si può colmare attraverso l’assaggio dell’olio, anche a livello amatoriale. Buon assaggio, dunque.